Mentre l’eterna guerra in Medio Oriente, nell’area che è stata culla delle civiltà più raffinate, si fa solo più o meno calda, mentre lo spettro di un nuovo conflitto si agglutina lasciandoci più o meno col fiato sospeso (mentre solo qualche sciocco facocero si ingrifa urlante all’odore del sangue) c’è un gioco che, più di altri, andrebbe giocato e fatto giocare: Kaiser 1451, di Helios Pu ed edito da SpaceOrange42.
Perché vi domanderete voi. Presto detto: perché è un gioco che senza moralismi si scaglia contro la guerra. Qualsiasi guerra, smascherando – o almeno provandoci – tutta la falsità e il cinismo che si nascondono dietro la retorica più vuota. Il gioco è ipernarrativo, i conflitti tra giocatori sono pressoché minimi o inesistenti e una partita si conclude in una serata alla buona con gli amici. E’ un gioco con un chip d’ingresso molto basso, senza preparazioni macchinose, ma quando ci si alza dal tavolo, ci si scopre ricchi, anche se il proprio personaggio è morto o tornato mutilato dal campo di battaglia. Anzi per questo sarete grati: non c’è nessun eroismo in certe guerre fatte per procura, volute da falsi leader che cercano la loro propria gloria o il guadagno personale, e Passo dopo Passo (le fasi del gioco), ad ognuno dei partecipanti al tavolo viene data la possibilità di esplorare quella lunga, forzosa marcia che lentamente – tanto più ci si avvicina allo scontro finale – finisce per tarpare le ali alla speranza, appesantire il cuore. Certo un ultimo guizzo sarà possibile, l’ultimo assalto potrebbe essere condotto col cuore colmo d’ardore, ma la fine incombe e i veri vincitori sono i corvi che avranno un ricco banchetto. Detto così può sembrare assurdo, ma la possibilità di introspezione lungo quella marcia senza sosta, sono infinite, la rigiocabilità è alta e non mancano gli spunti per ambientazioni diverse da quelle medievaleggianti.
Con poco si potrebbero sviluppare hack su altri conflitti: essere un orco che finirà maciullato al Fosso di Helm per la folle brama di uno stregone, un soldato per mesi nella giungla che si è scordato il viso dell’amata e cerca di farsela tornare alla memoria poco prima di un assalto ad una collina priva di importanza strategica per la voglia di un tenentino di prendersi l’ennesima medaglia. Sono suggerimenti tanto per l’autore quanto per i giocatori.
Il gioco si svolge con l’ausilio del mazzo di carte di vostro nonno, quello da briscola per intenderci, senza dadi, senza master, con una scheda minimalista che dice l’essenziale del vostro personaggio, ma senza statistiche.
Io ve lo consiglio, vi consiglio di comprarlo, di giocarlo e farlo giocare, tanto ai fanatici del GdR tradizionale, sia a chi – come ho fatto io – non ha mai giocato di ruolo in vita sua. Si divertirà e lo farete anche voi. In più costa in modo onesto, che non è poco.
Bonus: il manualetto a vostra disposizione in realtà contiene due giochi in uno, rivoltato Kaiser diventaFahreneit 1451, un po’ librogioco un po’ (molto) storygame in solitario. Un ibrido interessante che vi permetterà di osservare gli effetti della guerra da una ulteriore posizione, un punto di vista inedito, quello di un monaco che deve scegliere quali opere salvare dalla distruzione della Biblioteca che custodisce. Per una disamina giocata di questa seconda metà vi rimando al blog Caponata Meccanica di Mauro Longo.
E’ un autore e un personaggio molto
noto nel panorama ludico italiano, ed è anche una presenza
ingombrante e ruvida di questo stesso mondo di infoiati del gioco di
ruolo per la sua irriverenza e la sua schiettezza. Oggi parliamo di
ma soprattutto con Helios Pu. Con lui si può essere d’accordo o meno
sulle sue affermazioni, e le sue provocazioni, ma sono sempre (o per
lo meno spesso, o almeno per me) una occasione di riflessione e di
messa in discussione di questo o quel paradigma. In queste domande
che gli ho posto Helios non delude e anzi risponde con la sincerità
(e la durezza) che gli sono proprie. Lo ringrazio fin d’ora per il
tempo dedicato e invito tutti a leggere e a farsi pungolare…
Durante l’Agorà del Gdr a Lucca Comics and Games c’è stata l’occasione per un confronto pubblico sullo stato dell’arte del GdR, uno dei temi che è emerso è come definire se un gioco è fatto bene. Una tua definizione folgorante – ma ineccepibile – è stata (cito a memoria) è “Se la promessa della quarta di copertina viene mantenuta”. Puoi approfondire?
Ah ho detto io questa cosa? Cavolo, davvero acuta. Il bello è che non sono ironico: mica ricordo di averla detta. È difficile approfondire, perché in qualsiasi mia apparizione pubblica (sia essa una diretta video o un convegno) per poter dare il massimo NON mi preparo e improvviso sempre tutto. Posso giusto dirti, per approfondire, che mi sono davvero stancato dei GDR che promettono di farti vivere “storie epiche” e invece sono solo dei gestionali di risorse. Non c’è niente di epico nell’individuare la strategia dominante tra le pieghe delle imperfezioni matematiche di giochi poco playtestati. La parte più preoccupante è che molti game-designer temo siano inconsapevoli e credano davvero che ciò che scrivono abbia senso. Per fortuna l’intervista è via e-mail così non puoi chiedermi di fare nomi.
Kaiser/Fahrenheit è stato un buon successo di vendite, Be-Movie ha già sfornato una raccolta e viaggia per la sua versione inglese. Insomma nonostante i tuoi sforzi la gente sembra intenzionata a giocare. Perché secondo te?
Nonostante i miei sforzi di promuovere
la filosofia del “non giocare” intendi? Se il tema è
questo, in realtà la mia affermazione-brivido sottende un altro
discorso, ovvero “giocate meno ma giocare meglio”. Tutti
noi roleplayers siamo persone insoddisfatte e frustrate, altrimenti
non saremmo roleplayers. È una conditio sine qua non: io lo
so, tu lo sai, lo sappiamo tutti… solo che non si può dire! Usiamo
i giochi di ruolo come mezzo per bilanciare i nostri fallimenti e la
nostra inadeguatezza alla vita, e il fatto che questa mia
affermazione sia vera lo conferma l’abuso sfrenato della parola
“divertimento” che si fa nell’ambiente. Se fossimo felici
non giocheremmo. Ecco perché io voglio che non giochiamo: perché se
non giochiamo significa che siamo passati ad avere una vita completa
e soddisfacente. Essere felici però non è facile: può darsi
siamo destinati a giocare tutta la vita. Orbene, se troviamo
soddisfazione in questo squallido escapismo, almeno facciamolo con
manuali scritti bene, tecniche di sicurezza al tavolo e rispetto del
prossimo.
Se la definizione non ti disturba tu
sei sicuramente un fan di giochi “minimalisti”
nell’impianto delle regole, con una predilezione – mi pare di capire
– per giochi da intavolare facilmente con poca preparazione e
tuttavia con una certa profondità, ma apparentemente inadatti a
medie-lunghe campagne. Come mai?
Di volumi pieni di ambientazioni
inutili imbellettate con copertine strafighe (altrettanto inutili) è
già pieno il mondo. Per l’ennesima volta nella storia dei giochi
siamo pieni di begli oggetti, completamente vuoti di contenuti umani,
profondi e significativi (come invece dovrebbe avere il roleplay). Ma
la mia non è una critica al mercato, io sono fuori dal mercato. È
che sono anziano e lavoro molto: ho poco tempo per giocare e ho
ancora pochi anni da vivere prima di morire: credo sia meglio avere
giochi veloci, che si concentrano su come far interagire repertori
mentali già presenti con procedure ottimizzate che possano dare
un’esperienza completa in breve tempo. Io non ho più voglia di
leggere centinaia di pagine che parlano di divinità che creano
razze, popoli che si nascondono sotto terra, draghi addormentati che
si possono uccidere solo con una determinata arma e tutte quelle cose
trite e ritrite che erano già vecchie quando Propp analizzò la
morfologia della fiaba. Ah, e non mi interessa neanche sapere come
sarà dura la vita dopo la fottuta apocalisse. Questo impianto
giudaico-cristiano mi ha rotto davvero la minchia. Con tutto il
rispetto. Per la minchia.
Quali sono gli autori e i giochi che
ti hanno ispirato di più? Qual è per te la direzione che stanno
prendendo i giochi di ruolo?
In quanto sacerdote Discordiano sono
costretto a citartene 5, poiché tutto avviene in multiplo di 5. Dopo
il nome di ogni autore scriverò tra parentesi un paio di loro titoli
che ho trovato interessante studiare: Ron Edwards (Trollbabe,
S/lay w/me); Ben Robbins (Microscope, Kingdom); Avery Alder
(Cuori di mostro, A quiet year); Vincent D. Baker (Cani
nella vigna, Mondo dell’apocalisse); Paul Czege (La mia vita
col padrone, Il silenzio dei minotauri). Riguardo alla direzione,
il mercato mi sembra vada verso l’iper-offerta bulimica di giochi
tutti identici, con la bella copertina, veicolati da campagne
crowdfunding sensazionalistiche che però di sensazionale non hanno
nulla. Noto che c’è anche una fortissima spinta verso i giochi
rivolti ai bambini, ma temo pongano molta attenzione sull’estetica
infantile senza avere DAVVERO presente tutte le accortezze che
servirebbero per un prodotto del genere. Anni fa quando approcciai
alla scrittura di un GDR per bambini, lessi una bibliografia di circa
una dozzina di libri specifici sull’argomento e alla fine decisi che
era troppo complesso per affrontarlo come hobby… Servono ANNI di
preparazione e di playtest per avere prodotti sicuri. Non dico
educativi, dico “semplicemente” sicuri. Ti do una regola
generale: se esce un titolo per bambini (ad es.) nel 2020 e a) il suo
studio non è iniziato almeno nel 2014, b) non conta almeno 50
playtester tra adulti e bambini e c) non è rivolto a UNA sola
nazione, allora il prodotto è – da un punto di vista pedagogico –
una merda. Sono comunque disponibilissimo a ricredermi.
Oltre ad inventare i giochi, curi
anche editing e localizzazioni (come hai fatto con Microscope),
qual è un gioco – inedito in Italia – che ti piacerebbe portare e
perché.
Vorrei portare “A Quiet Year”
di Avery Alder, solo che i costi di produzione rispetto al potenziale
di vendita non ne giustificano la produzione per l’Italia. Colpa del
mazzo di carte specifico. Mi sto arrovellando da due anni su come
fare ma non sono ancora riuscito a convincere alcun editore. Dovrei
espormi con soldi miei, solo che non ne ho perché io con questo
hobby di soldi ne spendo e non ne guadagno, quindi sono povero.
Dove finisce Helios e dove inizia Il
Vate?
Helios è una persona, e in questo
momento sta parlando di sé stesso in terza persona. Il Vate è un
personaggio, un’opera di fiction, e sarei tentato di parlare in prima
persona come Vate se in questo momento non fossi Helios. Siamo un
flusso di (in)coscienza. Una curiosità for fun (e anche for fan):
ho molte altre personalità che vivono al mio interno, ognuna ha un
nome e non sono certo che tutte sappiano delle altre. Come dicevo
prima però questo hobby mi sta prosciugando le risorse economiche e
non posso spendere 72 euro +iva all’ora per farmi seguire da un
analista.
Su cosa stai lavorando in questo
momento?
In questo momento sono in ufficio e sto
lavorando su un progetto di valorizzazione della prima collina
bolognese. Ma forse tu volevi sapere su QUALI GIOCHI sto
lavorando… Helios Games e Space Orange 42 stanno collaborando
sulla localizzazione di due giochi di cui non faccio i nomi perché
impiegherei troppo tempo a verificare le clausole dei contratti di
licenza. Comunque sono uno di Evil Hat Productions e uno di Lame Mage
Productions. Riguardo a giochi firmati da me, al momento ho tre
priorità: 1) La riscrittura integrale di un vecchio gioco non mio
(sempre una licenza di cui non posso parlare. E tre!) che sta
entrando in fase di betatest; 2) La scrittura di Sword & Sorci
(working title), il mio primo PBTA, vietato ai minori di 18 anni,
dove testo e illustrazioni si compenetreranno in modo mai visto prima
in un GDR; e 3) Il primo librogame dei Carabinieri dell’Occulto, per
il quale sto cercando i soldi per pagare un co-autore che faccia
quella parte del lavoro che io non so fare (come ad es.
scrivere…). E poi almeno un’altra dozzina di progetti in
stand-by e di traduzioni di miei giochi verso altre lingue. Ma adesso
è presto per parlarne. Il Vate si farà sentire a tempo debito. È
una promessa. Anzi, una minaccia.